Il parco archeologico, situato nella zona nord-ovest della città, ospita l’antica città romana di Turris Libissonis e la maggior parte dei monumenti romani di Porto Torres.
La città di Porto Torres infatti sorge sui resti romani della colonia Iulia di Turris Libisonis, fondata nel 46 a.c., nientemeno che dallo stesso Giulio Cesare. È attestato per Turris lo stato giuridico di colonia Iulia, confermato dalle iscrizioni turritane, in cui Iulius/a risulta il gentilizio più documentato fra la cittadinanza.

Giulio Cesare avrebbe fatto scalo presso vari insediamenti costieri dell’Isola nell’estate del 46 a.c., di ritorno a Roma dall’Africa, per la celebrazione del trionfo dopo la battaglia di Tapso. La scelse, sembra, affinché le navi romane nel passaggio tra la Corsica e la Sardegna durante le tempeste, potessero trovare rifugio lungo le coste.

La colonia sorse al centro del golfo dell’Asinara nella Sardegna settentrionale, ad opera appunto dei veterani di Giulio Cesare appartenenti in gran parte a una delle 4 urbane serviane (Collina, Esquilina, Palatina e Suburana) la “Collina” di cui parla anche Cicerone in una sua lettera.

Si sa che Giulio Cesare stabilì una buona uscita per i veterani emeriti, che cioè avevano servito con onore, e in genere il premio era un bel pezzo di terra a testa, che uniti fornivano un vasto territorio per una cittadina e terreni adiacenti da coltivare.

Turris Libisonis venne eretta per giunta su un tratto di costa adatto sia all’approdo che alla costruzione porto fluviale alla foce del Rio Mannu, per giunta Turris era, insieme alla ben più modesta Uselis, l’unica città della Provincia Sardinia costituita da cittadini romani (Plinio Naturalis Historia, III, 85), seconda nell’isola soltanto a Caralis per numero d’abitanti, magnificenza e traffici commerciali. Insomma una colonia molto ricca.

Plinio ha descritto Turris come una colonia, l’unica nell’isola a quell’epoca, suggerendo che non vi era stata alcuna città precedente sul posto, a parte un forte o castellum. Questo forte fu riportato anche da Tolomeo e negli itinerari, ma senza alcuna indicazione che gli desse una certa importanza.

IL NOME

Il nome Turris Libisonis compare per la prima volta nella Naturalis Historia, (Nat. Hist., III, 7,85) di Plinio il Vecchio (I sec. d.C.), dove viene proposto il quadro geopolitico della Provincia Sardinia che alla fine riporta: «colonia autem una que vocatur ad Turrem Libisonis» (mentre [vi è] una sola colonia, detta presso la torre di Libiso).

Secondo alcuni studiosi il nome Turris deriverebbe dalla presenza di una torre nuragica, collegabile ad una popolazione forse conosciuta dagli antichi come “libica” e stabilendo quindi un legame tra il nome antico del Nord Africa (Lybia) e la seconda parte del toponimo (Libisonis).

Il nome della colonia compare però anche in diversi codici della Geografia di Tolomeo (Ptol. III, 3, 5), il geografo alessandrino del II sec. d.c. che riporta, oltre alla forma Pýrgos Libísonos, polis, anche Pýrgos Bíssonos o Pýrgos Býssonos, ma non se ne sa di più.

GLI SCAVI

Dai lavori del 2006 tesi alla realizzazione del nuovo porto, e soprattutto nella dalla demolizione del molo del Faro, è emersa una struttura in calce, malta, conci di calcare e lastre di trachite;il tutto misto a monete in bronzo, frammenti di anfore da trasporto, porzioni di colonne, ceramica ed epigrafi in marmo con una datazione di età romana.

Presso il piazzale ferroviario de “La Piccola”, i numerosi materiali, le diverse porzioni di strade lastricate in trachite, e le strutture di età romana emersi nei lavori per i parcheggi, emersero sempre nel 2006, tutti databili al I secolo d.c., quando venne realizzato il primo impianto urbanistico della colonia, già deciso, probabilmente, nella II metà del I secolo a.c.

Inoltre, insieme ai resti di edifici monumentali, sono stati messi in luce conci di arco di enormi dimensioni, rivestimenti parietali marmorei, capitelli, colonne e tre statue frammentarie acefale. La prima riporta una porzione di busto appartenente ad un personaggio che indossava una corazza decorata, la seconda una statua di Ercole, la terza è una magnifica scultura di grande formato che rappresenta un’autorità importante. Fra le ipotesi, quella di una statua che ritrae un’altissima carica dell’impero. Nel frattempo proseguono gli studi per la sua esatta identificazione, sfruttando gli indizi a disposizione, in primis le decorazioni della corazza e la barba, della quale si notano le tracce in quel che resta della parte anteriore del collo

LE INFRASTRUTTURE

Tra la fine dell’età repubblicana e l’età augustea, la città venne infatti dotata delle principali infrastrutture viarie e portuali, di un acquedotto e di un primo impianto termale secondo i principi urbanistici e architettonici tipicamente romani.

Non vi è però una precisa coincidenza tra la città romana e l’attuale Porto Torres se non nelle sue zone periferiche giusto nella massima espansione in età Severiana (III sec. d.c.). Infatti vi si sono reperiti abitazioni e magazzini ai quali si sono spesso sovrapposte diverse sepolture.

Tra la metà del I e la metà del II secolo d.c. venne creato un bacino per la raccolta dell’acqua. Tra la fine del II e il III sec. d.c. iniziò un periodo di prosperità per la città grazie ai traffici marittimi, all’allevamento del bestiame, alla pesca, alla raccolta dei cereali, all’attività estrattiva e artigiana.

Nella pianura retrostante alla città, a 3 km circa dal centro, sono stati documentati tratti dell’acquedotto che adduceva l’acqua dalla valle di San Martino di Sassari. Questi tratti erano stati in parte scavati nella roccia e in parte edificati su notevoli arcate, delle quali si sono messi in luce i filari di fondazione.

LE NECROPOLI

Attorno al perimetro della città antica sono conservate vaste aree di necropoli di particolare interesse, con sepolture dalla prima età imperiale ad epoca paleocristiana: la necropoli occidentale, sulla riva sinistra del rio Mannu, quella meridionale, sotto l’attuale centro cittadino, e quella orientale, sul lungomare.

Quest’ultima comprende l’ipogeo di Tanca Borgona, il complesso funerario di Scogliolungo, le tombe di Balai e il complesso ipogeico di San Gavino a mare.

L’impianto urbano, sviluppatosi attorno all’arco naturale che racchiude il bacino portuale, in base al divieto di realizzare aree funerarie all’interno delle mura, per ragioni di igiene e sicurezza, è delimitato esternamente da queste tre necropoli. A ovest del fiume Mannu la necropoli occidentale o di Marinella ha restituito tombe in anfora, alla cappuccina e in cassone scavate nel banco roccioso.

La necropoli orientale (o di Baiai o dello Scoglio Lungo) è caratterizzata da un monumento con numerose tombe ad arcosolio, da un colombario, e da un ipogeo (quello di Tanca Borgona) con tombe ricoperte da lastre marmoree iscritte, riutilizzate fino al VI sec. d.c. Una delle epigrafi documenta il nome di un funzionario imperiale che aveva ricoperto la carica di procurator ripae Turritanae.

La necropoli meridionale, di S. Gavino, sulla quale è stata edificata alla fine dell’XI sec. una basilica con due absidi contrapposte, è caratterizzata da monumenti funerari singoli e collettivi. Uno degli edifici è ricavato nel banco di calcare, con molte sepolture su tre livelli sovrapposti, e un blocco parallelepipedo di uso cultuale-funerario.

Qui sorgono l’ipogeo di Tanca Borgona, il complesso dello Scogliolungo, le tombe di Balai ed il complesso ipogeico di San Gavino a mare.

LE STRADE

Entro il I secolo d.c. la città era già dotata di strade regolari, del porto, di un acquedotto con origine nelle campagne intorno alla città di Sassari e delle prime terme, secondo i canoni urbanistici e architettonici romani.

Secondo le iscrizioni sulle antiche pietre miliari, la strada principale che attraversa l’isola passò direttamente dalla Caralis ( Cagliari ) a Turris, una prova sufficiente fu l’alta frequentazione del sito.

Infatti, due strade, che divergevano ad Othoca ( Santa Giusta ) collegavano Caralis a Turris, avevano due percorsi, uno più interno e uno sulla costa occidentale. Attraverso gli scavi si è riscontrato che l’assetto viario è stato in parte rispettato nell’attuale viabilità del centro storico.

parco archeologico di turris libisonis

Nella Piazza del Comune è identificabile, a breve distanza dagli horrea e dal porto, il foro nel punto di incontro del cardo (ultimo tratto della strada che univa Cagliari a T. L.) con il decumanus derivante dal ponte che supera, al limite della città, le acque del fiume Mannu.

Gli scavi hanno inoltre individuato il confine occidentale della città con un tratto delle mura di cinta lungo la sponda destra del fiume Mannu, datate al III sec. d.c. Le iscrizioni recano notizia di notevoli monumenti finora poco identificati: un tempio della dea Fortuna, una basilica con tribunale ornato di sei colonne restaurate nel III sec. d.c., una cisterna per riserva idrica fatta costruire a spese di un magistrato della colonia. Dai dati d’archivio si desume l’esistenza di un edificio per gli spettacoli nel fronte settentrionale di una delle colline prospicienti la linea di costa a breve distanza dal foro: un teatro o un anfiteatro.

Il tracciato dell’acquedotto è ricostruibile grazie ai resti rinvenuti in varie zone dai significativi toponimi (Fonte del Re, Fonte Manca, Fonte Gutierrez, Predda Niedda-Pischina, via Fontana Vecchia), lungo un percorso più o meno parallelo all’attuale SS 131, che adduceva l’acqua da Sassari, dove si trovavano le sorgenti (Eba Ciara-San Martino), alla colonia turritana.

LE ABITAZIONI

Durante la prima età imperiale vennero realizzati quartieri abitativi in un’area poi occupata da diversi impianti termali: le terme Centrali, le terme Maetzke e le terme Pallottino, in onore degli archeologi che tra il 1940-60 le riportarono alla luce. Venne inoltre realizzato un bacino per la raccolta dell’acqua per fornire le principali strutture termali.

Tra il III e l’inizio del IV secolo d.c. l’attività edilizia ebbe un’ulteriore incremento, edifici tutt’ora visitabili nell’area archeologica. Inoltre venne edificato un tratto di mura lungo la sponda destra del rio Mannu, e vennero completate le “Terme Centrali” note popolarmente come “Palazzo di Re Barbaro” dal nome di un ignoto quanto fantomatico governatore che avrebbe condannato al martirio i tre attuali patroni della città.
Di queste si conservano ancora le strutture delle grandi sale – frigidarium, calidarium e tepidarium – con le vasche ed i sobri e raffinati mosaici.
Sempre tra la fine del III e gli inizi del IV sec. d.c. Turris ospitò, per alcuni mesi all’anno, il governatore dell’isola, evidenza questa dell’ importanza assunta dalla città.

Vennero inoltre restaurati importanti edifici pubblici, come il Tempio della Fortuna, restaurata durante il regno di Filippo Arabo, e la Basilica con l’annesso tribunale. Di questi restano le testimonianze di decorazioni marmoree, bassorilievi, statue, nonché i documenti epigrafici che attestano le varie opere citate.

Nell’area di Turris Libisonis sono, inoltre, presenti: la Domus di Orfeo, le Terme Maetzke, la Domus dei Mosaici e il Peristilio Pallottino.

Infatti negli anni 1994-1995 gli scavi condotti nel peristilio delle Terme Centrali hanno messo in luce porzioni di cinque ambienti di una domus con pavimenti mosaicati. I materiali rinvenuti fra i resti del crollo delle strutture perimetrali della domus e delle pareti interne affrescate permettono di datare i mosaici nel I sec. d.c.

Di tre pavimenti il motivo decorativo policromo è geometrico, del quarto si conserva parte dell’esagono centrale con una scena di ierogamia, e del quinto, danneggiato in antico, il motivo geometrico policromo racchiude un emblema delimitato da un ottagono in cui è raffigurato Orfeo che suona la lira, circondato da otto animali.

LE TERME

L’impianto termale Maetzke, non completamente scavato e ubicato a est della ferrovia, con sviluppo nord-sud, venne costruito tra la fine del I e gli inizi del II sec. d.c. , terrazzando con blocchi in calcare il pendio del Colle del Faro. Se ne conserva solo un’aula absidata, probabilmente un calidarium. Prendono il nome dal loro ritrovatore e costituiscono la parte più orientale del complesso termale.

Le terme Pallottino, lungo la Via Ponte Romano, a breve distanza da un peristilio lastricato, anch’esse prendono il nome dal loro ritrovatore e rappresentano la parte più settentrionale del complesso termale, si suppone fossero costituite da due Calidarium e da un Frigidarium. Di notevole importanza la presenza mosaicale.

Le terme Centrali: sicuramente l’edificio più imponente dell’intero complesso, ancora oggi rimango rette le mura esterne dell’edificio. Questa particolare struttura viene, talvolta, erroneamente identificato come “Palazzo di Re Barbaro”, dal nome del governatore della diocesi Corsica et Sardinia. Congiunto al complesso centrale v’è un’imponente presenza di mosaici. Si collocano tra la fine del III e gli inizi del IV secolo d.c., inseriti in una vasta area destinata a edifici di uso pubblico.

Le Terme suddette hanno un impianto rettangolare sviluppato su otto ambienti delimitati da un porticato e a s da un criptoportico precedente.con muri in opera vittata, cioè con l’elegante alternanza di laterizi e blocchetti di tufo, di calcare, nonchè laterizi misti a tegoloni, mentre le fondazioni mostrano blocchi di calcare.

Il risultato è di alternate fasce di colore sulle pareti esterne.
L’accesso alle terme situato a nord, era preceduto da una scalinata che immetteva in un portico rettangolare, cui seguiva il frigidarium, la sala per i bagni freddi, fornita di due vasche con pavimentazioni a mosaico, e il “tepidarium” un ambiente tiepido da cui si passava ai tre calidarium, o ambienti riscaldati.

Il frigidarium corredato di due vasche, un apodyterium, un tepidarium e trecalidaria hanno restituito pavimenti musivi con motivi decorativi che trovano riscontro in mosaici di Cagliari, Ostia, Roma, Pompei, della Gallia e delle provincie africane, datati tra la fine del III e l’inizio del IV sec. d.c.

L’intero complesso termale si è sviluppato in parte su terrapieno e si è sovrapposto a un altro impianto termale sottostante riferibile al II sec., costruito a sua volta su un altro complesso termale del I sec., individuato in un saggio di scavo condotto nel settore SE delle terme del III sec. d.c.

Nell’area situata tra l’Antiquarium Turritano e le “terme centrali” sono presenti resti di abitazioni, che costituivano insulae (isolati) e tabernae (botteghe) , una parte delle quali è inglobata e visibile all’interno dell’Antiquarium. Gli edifici sono delimitati da vie pavimentate con lastroni di vulcanite.

Cospicui i resti di decorazioni marmoree, bassorilievi, statue; tra essi quattro colonne di marmo del “peristilio Pallottino”, pertinenti ad un portico originariamente pavimentato con lastre marmoree. Al suo esterno, lungo un cardo porticato, si aprivano diversi ambienti contigui adibiti a tabernae dotate di pozzi per il rifornimento idrico, alti pozzi sono pure visibili all’interno di due insulae situate a nord delle Terme Centrali. In località Serra di Li Pozzi-via Liguria è visibile un tratto dell’acquedotto.
A sud delle terme sorgeva un criptoportico usato per il deflusso delle acque, mentre ad est erano situati gli ambienti per il riscaldamento dell’aria e dell’acqua ed i canali che convogliavano le acque reflue verso una fogna che attraversava la strada ad est.

IL PORTO

Il porto esistente a Porto Torres, quasi del tutto artificiale, si basa in gran parte su fondamenta romane. Alla fine del I sec. d.c. compaiono a Turris le merci africane che saranno prevalenti fino al
VI sec. d.c. :con importazioni di olio, di conserve e salse di pesce e di vino.

NAVICULARII TURRITANI
Tra le prime attestazioni (I sec. d.c.) sono presenti anfore italiche vinarie ed altre che contenevano forse frutta, provenienti dalla penisola. Dello stesso periodo abbiamo le importazioni di vino della Tarraconensis (attuale Catalogna) e di salse di pesce dalla Baetica (Andalusia).

Ma soprattutto la Sardegna era considerato il granaio di Roma, per cui il traffico da turris a Roma era molto intenso, Importanti furono anche i rapporti con la madrepatria: a Ostia, nel Piazzale delle Corporazioni si è rinvenuto il mosaico che indica la “statio”, l’ufficio di rappresentanza dei “Navicularii Turritani” dalla colonia di “Turris Lybisonis”, che si occupavano dei trasporti via mare con la Sardegna.
Il grano veniva trasportato in grossi sacchi di tela e sistemato nei magazzini chiamati horrea in attesa di essere esportati. Sembra venisse esportato anche granito dalla Gallura, cavalli vivi e carne suina.

Nel corso del II secolo d.c. Turris Libisonis commerciava vino con la Gallia e nel III sec.
d.c. olio con la Baetica. Alcuni relitti e diversi ceppi d’ancora e contromarre in piombo rinvenute a breve distanza dalla foce del Rio Mannu attestano l’esistenza di un intenso traffico di navi all’interno del Golfo dell’Asinara, in relazione anche ad un’attività di pesca e di navigazione commerciale di piccolo cabotaggio.
Al culmine del suo sviluppo, tra la fine del II e il III sec. d.c., il suddetto porto prosperò ancor più grazie ai traffici marittimi, all’economia ceralicola e di allevamento, alla pesca, all’attività estrattiva e artigianale.

Lo spostamento del bacino portuale, avvenuto in età severiana (fine II – inizi III sec. d.c.), corrisponderebbe al progetto di riformulazione del programma urbanistico della città che vide il centro espandersi verso oriente, con il forum a sud dell’attuale darsena e nelle vicinanze dei magazzini (horrea) presso l’attuale Banca nazionale del lavoro, costruiti agli inizi del III sec. d.c., sui quali venne costruita, in età tardoantica, una cortina muraria. Così il porto venne rinnovato e la città si riorganizzò intorno ad esso.

Dietro al bacino portuale, dove sorge il moderno porto commerciale, sono stati scavati horrea degli inizi del III sec., utilizzati fino ai primi decenni del V sec. d.c., quando sono stati in parte smantellati per la costruzione delle mura di cinta con andamento parallelo alla linea di costa.

Durante il IV secolo d.c. Turris Libisonis continua ancora ad essere il principale porto della Sardegna settentrionale essendo ancora inserito nelle rotte che comprendevano l’Africa e l’Italia peninsulare, ma anche i mercati del nord, attraverso il porto di Marsiglia e quelli della penisola iberica dai quali proveniva il garum, la famosa e usatissima salsa di pesce di cui abbondava la cucina dei ricchi romani.

Da Turris Libisonis partivano i cereali e i minerali sardi, nonchè i travertini dell’entroterra diretti al porto di Roma. Durante il V-VI secolo d.c. dall’Oriente provengono infine numerose anfore olearie e vinarie. In particolare la città commerciava direttamente con il porto di Ostia, come attestato dall’iscrizione “navicularii turritani” in un mosaico del foro della città laziale. E’ evidente quindi che la manutenzione, il potenziamento e la gestione delle strutture portuali richiedessero un funzionario addetto, il “procurator ripae”, nonchè gli addetti alla riscossione dei dazi doganali, i portoria.

A Turris esistevano inoltre i Navicularii, imprenditori di trasporto marittimo che avevano una sede stabile nel Piazzale delle Corporazioni a Ostia, antico porto di Roma, come dimostrato dal mosaico turritano (190-200 d.c.) che raffigura una navis oneraria (nave commerciale) con scafo allungato, con due timoni obliqui sui lati della poppa e dotata di due alberi.

I mosaici pavimentali, le sculture e la ceramica di importazione testimoniano un vivace scambio con i porti della penisola, della Spagna, della Gallia, dell’Oriente e delle provincie africane, riscontrabili anche nella presenza di numerosi culti religiosi accolti nella città. Turris era inoltre inserita nelle rotte marittime che univano Roma all’Africa, alla penisola iberica e ad una parte della Narbonense (attuale Provenza).

IL PONTE

Tra le tante e ricche realizzazioni di questa epoca c’è il magnifico ponte di età augustea, il maggiore tra i ponti romani della Sardegna con 7 arcate per 135 m di lunghezza, ancora ottimamente conservato. di dimensioni diverse e crescenti in altezza da est verso ovest (per consentire il collegamento a diversa quota delle due rive), e da piloni in calcare con rinforzi in vulcanite. Esso è formato da 7 arcate disuguali a sesto ribassato, e le arcate vennero impostate su piloni in calcare con rinforzi in vulcanite, L’arcata centrale ospita una nicchia, certamente occupata da una qualche statua di divinità, probabilmente, data l’epoca, da quella di Augusto.

Il ponte, realizzato in opus quadratum con grandi conci di calcare, su solide fondazioni di trachite, collegava Turris, già dai primi decenni del I secolo d.c., con la sponda sinistra del Rio Mannu e quindi con le stazioni toccate dalla litoranea occidentale (Nure e Carbia), con i centri minerari di Canaglia e dell’Argentiera, con le campagne della Nurra e con il Nymphaeus Portus, il moderno Porto Conte, dove in località Sant’Imbenia rimangono i resti di una splendida villa marittima con un impianto termale della seconda metà del I secolo d.c.

Il ponte romano che congiunge le due rive del rio Mannu, consentiva il collegamento diretto della città con i fertili campi della Nurra. La pavimentazione originale era caratterizzata da lastroni di trachite, roccia di origine vulcanica, ricoperti successivamente con dell’asfalto, visto che il ponte rimase in funzione e trafficato, persino da mezzi pesanti, fino agli anni sessanta. È costituito da sette arcate. Il ponte, la cui costruzione risale all’età imperiale, “cavalca” il fiume Rio Mannu. Faceva parte della rete stradale che collegava la città con l’entroterra e con le miniere della Nurra. Il Ponte romano è il più grande della Sardegna, ed è stato utilizzato sino a pochi anni fa.

La pavimentazione originale, nel Novecento, era stata ricoperta con dell’asfalto, poichè il ponte rimase in funzione e trafficato, persino da mezzi pesanti, fino agli anni sessanta. Il monumento è stato chiuso al transito dei mezzi negli anni Ottanta. Il recente restauro ha riportato alla luce l’antico basolato del piano stradale.

LA RELIGIONE

Mentre non ci sono tracce di religione cartaginese essendo la colonia appunto una città nuova, Turris si aprì anche ad altre religioni di provenienza mediterranea: tra il I ed il II secolo d.c. sorgono culti orientali come quello egizio di Bubastis, ovvero di Iside-Thermutis e di Giove Ammone; successivo ma non meno importante il culto della divinità persiana della luce Mitra, “concorrente” del cristianesimo nascente.

Molto seguito, trattandosi di città marinara, ebbe il culto di Iside, protettrice appunto dei marinai, per la quale veniva celebrata la festa del Navigium Isidis (naviglio di Iside), nei primi di marzo, quando si apriva il periodo più propizio per la navigazione, fino all’11 novembre, in cui si decretava il mare clausum (mare chiuso) ossia l’interdizione alla navigazione per la pericolosità delle tempeste.

Infatti un’ara marmorea, dedicata ai sacrifici per un templum Isidis locato presso il Foro, a ridosso dell’area portuale è oggi conservata nella “sala romana” del museo G.A.Sanna di Sassari, ma fu rinvenuto a Porto Torres nei pressi del piazzale della stazione ferroviaria.

Si tratta probabilmente di un donarium, un ex voto, dedicato da un navigante, forse scampato ad un naufragio, a Iside-Thermutis, protettrice delle messi e dei naviganti, solitamente rappresentata con corpo umano terminante in coda di serpente, con in mano la fiaccola che rappresentava il faro del porto di Alessandria in Egitto.

Per altri la fiaccola era invece la rappresentazione della vita così precaria per gli avventurosi marinai.

Sulle due superfici laterali del monumento sono rappresentati il coccodrillo Souchos, che rispettò la Dea che traversava il Nilo per recuperare le membra di Osiride, e il cane Sothis che rappresentava la costellazione della stella Sirio ma anche i cani che aiutarono Iside a ritrovare Osiride.

Ulteriori attestazioni del culto isiaco sono l’ara di Bubastis, altare delle offerte rituali dedicato a Bastet, Dea egizia con la testa di gatta e il corpo di donna.
Nell’ara, di squisita fattura, compaiono alcune divinità-serpente associate a Iside. L’ara è datata al 35 d.c., proprio quando giunsero a Turris Libisonis i primi culti egizi.

IL DECLINO

La crescita urbana si arrestò tra la fine del IV e gli inizi del V sec. d.c. in coincidenza con la grave crisi dell’Impero d’Occidente. Per quanto decaduta nel disfacimento dell’impero, la Sardegna resistè nei suoi seppur ridotti traffici commerciali e nel 456 d.c. passò sotto il controllo dei Vandali fino al 534 d.c., data nella quale iniziò la dominazione bizantina. Poi il declino fu totale.

Il parco archeologico

Il parco Archeologico oggi visitabile conserva i grandiosi resti monumentali dei tre impianti termali, conosciuti come terme Maetzke, terme centrali, e terme Pallottino, al quale appartiene anche l’omonimo peristilio; della domus dei Mosaici nota per i sui splendidi marmi colorati, e della cinta muraria che delimitava la colonia Iulia, riportate alla luce tra gli anni Quaranta e Sessanta durante le opere di scavo condotte da Massimo Pallottino e Guglielmo Maetzke.

Gli edifici sono delimitati da vie urbane pavimentate con lastroni di vulcanite, su cui prospettano anche delle botteghe. Il percorso prosegue nei pressi del peristilio Pallottino, posto lungo la strada che conduce al ponte romano, con quattro colonne di marmo lungo il lato orientale, e pavimento rivestito in marmo.

Seguono poco più ad ovest i resti delle “terme Pallottino”, fine III sec. d.c. , con tre ambienti riscaldati, di cui il primo presenta un impianto rettangolare e vasca decorata a mosaico; il secondo conserva esclusivamente il lato corto absidato; e il terzo conserva invece le due absidi dei lati brevi.

Il museo

Nell’area compresa fra le Terme Centrali e le Terme Maetzke i lavori della ferrovia hanno purtroppo determinato la scomparsa di altri monumenti di carattere pubblico, civile e religioso; di essi si conoscono numerose sculture e pavimenti musivi attualmente esposti nel Museo Nazionale G. A. Sanna di Sassari. Comunque cospicui reperti provenienti dagli sterri del XIX secolo e dagli scavi scientifici del XX nell’antica Turris Libisonis sono conservati nel suddetto Museo di Sassari e nell’Antiquarium o Museo Nazionale Archeologico di Porto Torres presso l’area del nascente Parco Archeologico. (Fonte: romanoimpero.com)